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Mescladis e còps de gula
Mescladis e còps de gula
  • blog dédié aux cultures et langues minorées en général et à l'occitan en particulier. On y adopte une approche à la fois militante et réflexive et, dans tous les cas, résolument critique. Langues d'usage : français, occitan et italien.
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31 mars 2008

Commedie e comici toscani

Il teatro popolare amatoriale in lingua toscana (il cosiddetto “vernacolo”) è tuttora di una gran vitalità, seppure non c’è quasi nessuna probabilità per un turista, anche italiano, di accorgersi della sua esistenza. A Firenze, ha trovato luoghi di rifugio lontano dal Duomo, in umili sale dei quartieri periferici. Generalmente sono dentro alcune delle innumerevoli case del popolo che continuano ad assumere un ruolo sociale e culturale centrale nella vita dei cittadini. Ci vuole attenzione e fortuna per trovare affissi alcuni modesti manifesti. A malapena questi spettacoli vengono annunciati nei giornali locali. Però due di quei teatri – la S.R.M.S. di Nave a Rovezzano, Via Villamagna, sede del gruppo La Nave e il Teatro Nuovo di Via Fanfani, dove si esibisce la compagnia Il Grillo – incontrano, difatti, un grande successo. Entrambi presentano ogni anno una commedia, nei mesi invernali, al ritmo di due spettacoli la settimana (sabato sera e domenica pomeriggio, cioè sulle trentadue rappresentazioni per La Nave, e il doppio per il Teatro Nuovo su tutto l’anno). Ora, fino all’ultimo spettacolo della stagione, i due teatri sono stracolmi.

 

 Ho assistito di recente a due spettacoli presentati in queste sale e non mi è certo dispiaciuto. Avverto però il lettore che questa piccola recensione è redatta da uno spettatore ingenuo, in altre parole di un curioso alla scoperta di un mondo a lui prima sconosciuto, un amatore privo del minimo di cultura idonea che gli permetterebbe di dare un giudizio fondato.

 

            La S.R.M.S. di Nave è una piccola sala, che si apre in fondo al bar del circolo Arci. La domenica mattina, avevo trovato il volantino nella stanza che faceva da spogliatoio per la gara podistica organizzata lì[1]. Tra gli odori delle pomate canforate e gli effluvi dei piatti di pasta generosamente offerti all’arrivo degli atleti nel cortile adiacente, mi chiedevo dove, in un palazzo così stretto, in questa confusione di borse da sport e di bicchieri di plastica, si potesse trovare il teatro. Il pomeriggio, mi accorsi che era proprio lo spogliatoio della mattina, trasmutato come per magia dopo la gara… o piuttosto restituito alla sua prima funzione, perché nel putiferio sportivo non avevo notato il palco, il sipario, nemmeno la cornice della scena, risalendo secondo ogni probabilità al primo allestimento del teatro negli anni trentai[2]. Un pubblico d’età rispettabile, vestito a festa, riempì in un batter d’occhio la saletta. Il titolo dello spettacolo era: Fra le fresche frasche

 

 La commedia, davvero deliziosa, piena di queste locuzioni proverbiali, parole equivoche, risposte spiritose e pungenti (ad esempio: « la tu mamma, l’avrà presa a sassate la cicogna ! ») che danno al toscano il suo tocco peculiare, era recitata da attori incensurabili, alcuni addirittura eccellenti (in particolare Valerio Ranfagni, anche direttore e regista della compagnia), in perfetta sintonia col pubblico. Il contrasto e il confronto tra « vernacolo » e « lingua » sono anch’essi portati sul palco, con effetti comici, ma sopratutto come una semplice evidenza, perché quest’incontro è la cosa più normale nella vita corrente, in modo che il borghese o il giovanotto perbenino che entri in scena parlando l’italiano, o semplicemente un italiano toscanizzato, trova il suo posto nella finzione con la più grande naturalezza.

 

          Stesso piacere, stessa complicità nel più spazioso Teatro Nuovo, frequentato, quel sabato sera, da un pubblico questa volta di tutte le età, venuto a divertirsi in famiglia. Anche lì, attori perfettamente ai loro agi nei personaggi comici, in una commedia esilarante e frizzante: Contesto perché voglio con…te…stare... Un intreccio stiracchiato quanto il titolo, ambientato in una specie di agenzia matrimoniale ingombrata da personaggi strambi, vera sfilata macchiettistica: una  donnona, il suo serve marito (Sergio Forconi, bravissimo), un cameriere balbuziente, un falso prete, ecc.

 

 La commedia del teatro di Nave esibiva d’altronde più o meno gli stessi tipi con gli stessi modi di recitare. Vedeva anch’essa poi il succedersi di peripezie strampalate in un’agenzia (l’agenzia sembra il luogo ideale di questo genere di commedia, che permette di fare incontrare personaggi che non si conoscono o piuttosto che credono di non conoscersi, ma camminano insieme verso il loro finale mutuo riconoscimento). Questa volta si trattava di un’agenzia d’investigazione (l’agenzia Centocchi), il cui lavoro consisteva principalmente nell’inseguire coppie illegittime e ricercare spariti volontari… Un intreccio imbrogliatissimo, ma di cui tutti i fili finivano per snodarsi, grazie alla confessione fatta da una signora volubile dei suoi lascivi svaghi... sotto le fresche frasche. La storia si svolge, precisava il volantino del programma, all’« epoca attuale ». Bisogna però dire che i tipi psico-sociali rappresentati (quello della ragazza madre, ma anche del marito geloso, e così via) hanno perso gran parte della loro attualità, ma è precisamente quest’inattualità, il mondo della commedia di costumi all’inizio del secolo scorso, artificialmente trasposto in situazioni più o meno contemporanee, che incanta il pubblico.

 

            Lo stesso si può dire dell’altro pezzo, liberamente tratto da un’opera dell’attore Raul Bulgherini: Reverendo la si spogli. Ci sono, sì, alcuni personaggi « moderni », come ad esempio una ragazza « contestatrice » sfruttando comicamente un gergo rivendicativo. L’intreccio però è quello della commedia dei vecchi tempi: dei genitori prepotenti (qui la madre) contrastano le scelte amorose e matrimoniali dei loro figli. Anche se questa situazione è ormai priva di ogni verosimiglianza, è sempre funzionante e continua a far ridere dal fatto stesso del suo carattere topico, e comunque l’inverosimiglianza non ha nessuna importanza in se stessa; la cosa importante è il gioco dei travestiti, della caricatura e soprattutto della buona battuta.

Bulgherini1

Raul Bulgherini, Compagnia Il Grillo

 

            La lettura del programma di Fra le fresche frasche dà un’informazione interessante sulla commedia : è di fatto l’adattamento toscano di una commedia napoletana: Per mezz’ora di sfizio scritta nel 1985 da una autore dal nome poco napoletano, Samy Fayad. In effetti, Fayad era un libanese nato a Parigi e cresciuto in Venezuela che approdò a Napoli all’età di tredici anni. Ed è nella città partenopea che compone per il teatro e la radio numerose commedie di gran successo popolare, spessissimo rappresentate e tradotte in diverse lingue. Tra queste lingue – basta per rendersene conto dare un’occhiata su internet – al primo posto stanno i « dialetti » d’Italia. Gli ultimi anni, in effetti, questa commedia, accanto ad altre dello stesso autore (Il Papocchio, Cose turche, Come si rapina una banca, Il settimo si riposò), è stata adattata di continuo in tutte le lingue regionali della penisola: nel Veneto, in Lombardia, a Ferrara, in Molise, in Sicilia… Il fenomeno è davvero sorprendente e meriterebbe di essere studiato per se stesso. Il fatto che un immigrato d’origine libanese abbia escogitato una forma di commedia di cui si deliziano le compagnie amatoriali dedicate al teatro d’espressione « vernacolare » mi sembra molto istruttivo. Questa dialettica umana e culturale del globale e del locale, nonché quest’uso di una trama comica come supporto del libero gioco di ogni lingua particolare, sono senz’altro soggetti di riflessione appassionanti.

 

            Queste commedie appariranno forse a qualcuno molto convenzionali e un po’ antiquate, ma sono anche per questi motivi delle cornici in cui, chi vuole, può dare libero corso alla propria lingua, quand’è vissuta e percepita come essenzialmente colloquiale. In ogni caso, un abisso separa questi pezzi di teatro finemente composti e interpretati, da certe prestazioni costernanti dei comici toscani che ora vanno di moda. Per curiosità, infatti, e anche un po’ per desiderio di superare certi pregiudizi di spettatore, ho assistito anche ad uno show di due comici feticci della scena fiorentina, Massimo Ceccherini e Alessandro Paci, nella grandissima sala, sovraffollata, del Saschall. Lo spettacolo aveva come titolo (e questo avrebbe dovuto bastare a svegliare il sospetto) Quei bravi racazzi. I due sono famosi, tra altre cose, per la loro partecipazione ad un Pinocchio culto che, nel 1998, aveva radunato buona parte dei comici fiorentini, tra cui l’eccellente Carlo Monni. In questo Pinocchio, di cui i fiorentini si scambiano cassette e dvd, momenti di felice trivialità e d’improvvisazione inventiva, succedevano a lunghi tempi morti, noiosissimi, almeno allo schermo… Lo spettacolo di Ceccherini e Pace, di un vuoto assoluto, è interamente composto di questi tempi morti in cui non succede e non si dice niente, fuori del reiterato proferire di pochissime parole, come « cazzo », « trombare » e « troia », cioè le poche parole bandite dalla « vecchia » commedia (è vero un po’ pudibonda nel dire, ma certo non nell’accennare). Ma qui, veramente, rimangono le oscenità e manca tutto il resto, a cominciare da una trama qualsiasi. Questa, infatti, si riduce al progetto di Ceccherini di allestire uno spettacolo con la sua vecchia comparsa Paci, « sul sesso », e costui prima rifiuta, preoccupato da una sua sospetta onorabilità (ha ormai una famiglia, dei figli...), poi finisce per accettare perché ci sono da pagare i lavori di rifacimento della casa. Ogni volta che Ceccherini gli chiede di inoltrarsi un po’ più avanti nell’infamia (svestirsi, coprirsi di latex, e così via) e che lui dice « no, ora basta », sua moglie lo chiama sul cellulare e appare sullo schermo gigante per rammentargli che il tale o tal altro artigiano sta richiedendo i dovuti soldi... Ma fuori di questo espediente grossolano, di alcune piccole barzellette da bar e di scarsi effetti da mimo, non c’è niente: niente ritmo, niente contenuto, niente lavoro sul linguaggio, niente messa in scena, niente allestimento, niente preparazione. I due attori si sforzano pietosamente di apparire interessanti, scattando il più spesso possibile le tre parole magiche già citate, accompagnate da qualche briciola di « vernacolare » di una povertà assoluta e sotto travestimenti scemi (vestiti sado-masochisti, in forma di penne, ecc.). Tutto questo poi non sarebbe nulla – è proprio il caso di dirlo – se il pubblico (di cui il numero equivaleva per lo meno a quello delle trentadue rappresentazioni del teatro di Nave, d’altronde molto vicino, e che alla stessa ora riempiva probabilmente come il solito le sue cento piccole sedie), per di più giovani e adolescenti, invece di fischiare, come sarebbe stato sano e naturale, sembrava estatico… già comunque alla sola vista dei due compari, che d’altronde non hanno nemmeno esitato a vantarsi di aver fatto pagare ventiquattro euro a persona, senza avere niente d’interessante da dire né da mostrare. Fenomeno strano tuttavia, ed inquietante, laddove l’impostura e il furto sono così palesi, vedere uscire tutta questa gente, visibilmente quasi altrettanto soddisfatta della sua serata che se avesse assistito ad una bella partita della sua squadra preferita (la Viola evidentemente). Mi sono davvero chiesto, ingenuamente, quale « educazione » (quello che Paci e Ceccherini chiamerebbero forse piuttosto « educazzone ») avesse potuto renderli così disponibili e benevoli a questo grado zero del comico e del teatro. Evidentemente, non credo di sbagliarmi dicendo che questa preparazione la danno i programmi televisivi di divertimento e di reality show (d’altronde Ceccherini ha partecipato di recente all’Isola dei famosi). L’unico punto positivo dello spettacolo, forse, fu l’apparizione, alla fine, di Carlo Monni, recitando, senza dare né titolo né autori (non era davvero il caso), tre dei Dubbi amorosi dell’Aretino, divina confettura, a dire il vero, per i maiali.

 

          La commedia vernacolare all’antica può certo destare certe perplessità, ma testimonia senza discussione possibile di un grado infinitamente superiore d’elevatezza su tutti piani, estetico, linguistico, umoristico, ecc. (non dico etico, né politico, ma lo potrei) Per finire, dirò che questa disillusione, o piuttosto collera di spettatore dello show comico-toscano, dimostra, per chi potrebbe avere dubbi a proposito, che le lingue seconde e minoritarie non sono per niente protette dall’ondata massiccia della scemenza televisiva primaria e maggioritaria.

 

 

JP C

 

Paci

 

 

[1] Queste gare, che fanno parte del paesaggio delle perifierie fiorentine del sabato e della domenica (se ne vede giustamente una all’inizio di Berlinguer ti voglio bene, film di un’assoluta autenticità etnologica), forniscono delle ottime occasioni per sentire il toscano.

[2] Lego sul sito di Pan nostrale che, fin da questa data, il teatro di Nave ebbe la vocazione de presentare delle commedie in vernacolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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